Come ormai si è abbondantemente capito, di tutti quei sacrifici e quei risparmi promessi dalla politica è rimasto molto poco all’interno della manovra approvata in Parlamento.
I parlamentari, certo, pagheranno un contributo di solidarietà doppio rispetto agli altri cittadini con redditi alti, ma si applicherà soltanto per due anni. Inoltre, a parte la cosiddetta indennità, restano 7.193 euro mensili a testa di rimborsi e spese di segreteria che non verranno toccati. Eliminata la norma che avrebbe tagliato lo stipendio a chi tra loro ha un altro reddito da attività professionale, ristretta l’incompatibilità con altre cariche rispetto alla prima versione. Dalla prossima legislatura, se passerà il disegno di legge costituzionale, ci sarà il dimezzamento del numero dei parlamentari. Ma intanto quali sarebbero i veri sprechi da colpire? Quelli che realmente, aldilà della soddisfazione dei cittadini imbufaliti, produrrebbero un miglioramento sostanziale dei conti pubblici?
Proviamo ad analizzare i punti centrali di un dibattito sulla “casta” che in Italia sembra non avere mai fine.
ACCORPAMENTO DEI COMUNI
L’accorpamento dei Comuni con meno di 1000 abitanti è stato inserito nella manovra. Non si tratta semplicemente di aggregare i servizi dei piccoli centri italiani, per permettere delle economie di scala nell’erogazione dei servizi essenziali, ma di cancellare intere amministrazioni dalla cartina geografica, tagliando principalmente sui luoghi di discussione democratica. Ammesso e non concesso che questo ragionamento giovi alla nostra democrazia e alla distanza sempre più forte tra politica e società, secondo l’Anpci (Associazione nazionale piccoli comuni italiani), questa decisione non porterà nelle casse dello Stato oltre lo 0,023% della manovra, mentre i Comuni accorpati saranno 1963, la maggioranza in aree di montagna (il 71%).
ELIMINAZIONE DELLE PROVINCE
Le tanto contestate province dovevano essere abolite nella manovra, ma in realtà questo provvedimento è stato inserito in un disegno costituzionale (e quindi con un iter molto lungo) che comincerà in questi giorni la discussione in Senato. Sul tema abbiamo sentito di tutto, compresa la previsione di risparmiare, sulla loro abolizione, addirittura 12 miliardi di euro, che sono, in effetti, esattamente la spesa complessiva delle province in un anno anche secondo l’UPI (Unione Province Italiane). Come abbondantemente spiegato da Luigi Oliveri su Lavoce.info, in realtà non si potrebbe risparmiare oltre 2 miliardi: perché certo qualcun altro dovrebbe pagare i debiti e saldare i conti, mentre i costi dei servizi non potrebbero essere certo annullati, pena abbandonare le strade e le scuole al loro destino. Un gigantesco patrimonio immobiliare che non è pensabile poter vendere ai privati. Forse è per questa ragione che negli ultimi giorni si è cominciato a parlare di “accorpamento e riorganizzazione” delle Province e non della loro semplice abolizione. Ma dove si andrà a parare, non è ancora chiaro.
ENTI E CONSULENZE NELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE
In questi mesi sono apparsi numerosi dossier su tutti i privilegi dei nostri parlamentari, incluso il menù della buvette e la spesa per la carta igienica, ma poco si è capito di quali siano le vere spese assurde dello Stato. Qualche esempio? Mantenere consorzi, enti, authority, i cui alti dirigenti guadagnano cifre da capogiro (per un’authority qualsiasi, 550mila euro l’anno). Enti creati dall’alto, che quasi mai contribuiscono alla buona amministrazione e quasi sempre, invece, finiscono al centro di scandali per nepotismi, clientelismi, corruzione, quando non addirittura connivenze con la criminalità organizzata. Oppure pagare costosissime consulenze esterne, sempre da rifare o rinnovare ad ogni cambio di gestione o di colore politico.. Per gli scettici, basta guardare i dati pubblicati dal Ministero della Pubblica Amministrazione, che stima che nel 2009 esistessero circa 500mila consulenze esterne, per una spesa annuale di 2,5 milardi di euro. E la situazione, nei due anni successivi, non è migliorata: sono semplicemente aumentati i dati consultabili on line, che hanno generato numerose inchieste sui media su sperperi e abusi in tutta Italia.
COSTI DEL PALAZZO: AFFITTI, VITALIZI, RIMBORSI ELETTORALI
Il tema più usato e forse anche abusato per spiegare i costi della politica: i famosi stipendi dei parlamentari, i più alti d’Europa. I vitalizi, che solo nel 2011 hanno raggiunto complessivamente i 191 milioni di euro, come riportato nel libro in uscita di Sergio Rizzo e Antonio Stella, “Licenziare i padreterni”. I palazzi in affitto di Camera e Senato, ben 52. I 5,5 miliardi di rimborsi elettorali ai partiti. Sul tema i Radical italiani conducono da anni la loro battaglia, tanto da indurre la deputata Rita Bernardini a pubblicare “OpenCamera”, un database aggiornato con tutte le spese del Palazzo divise per voci.
I FAMOSI “PORTABORSE”
… Che di borse, solitamente, non ne portano. Sono i collaboratori parlamentari, assunti per svolgere compiti di segreteria, ma anche per effettuare studi legislativi, predisporre proposte di legge, iniziative parlamentari, fare da addetto stampa, organizzare eventi. Dai tempi di una famosa inchiesta delle Iene di Italia 1 si è appurato che molti di loro lavorano in nero. Nonostante le promesse e i provvedimenti per consentire l’ingresso agli uffici soltanto chi è munito di un contratto, la situazione non è cambiata molto. Alcuni di loro, organizzati nel Coordinamento dei Collaboratori Parlamentari, hanno presentato una proposta che non solo riporterebbe nella legalità questi lavoratori, facendo emergere il nero e garantendo maggiore dignità alle loro mansioni, ma farebbe risparmiare la Camera. Ad oggi ogni deputato riceve una somma pari a 3690 euro per rimborso delle spese di segreteria e del rapporto elettore-eletto. Naturalmente non è richiesto di dimostrare per cosa vengano utilizzati e inoltre soltanto 230 parlamentari hanno un assistente debitamente registrato. Questo significa che al momento 400 deputati usano quella somma per scopi diversi. Se il contributo venisse erogato in base all’esistenza di un effettivo contratto di lavoro tra il deputato e il collaboratore, ogni anno si risparmierebbero 17.712.000 euro. I virtuosi sarebbero premiati dal rimborso per le spese di segreteria. Altri, no. Un obiettivo semplice, ma ancora lontano.