Assolutamente no. Anche se questa è una delle più frequenti giustificazioni per l’esistenza del numero chiuso. Sfatiamo il luogo comune in base al quale “nel nostro Paese esiste un rapporto tra medici e popolazione residente che è tra i più alti al mondo”: il famoso fenomeno dell’esubero di medici rispetto alle esigenze del Paese è un fenomeno risalente agli anni ’70-’80 in conseguenza del boom economico, da tempo superato. La nostra esperienza di cittadini-utenti è sufficiente per sapere che non sempre è facile trovare un medico nel momento del bisogno.
Il rapporto tra il numero dei medici iscritti all’Ordine e la popolazione, infatti, comprende anche i medici pensionati. Inoltre, questo dato trascura del tutto sia la distribuzione nelle varie specializzazioni, sia l’aumento della domanda di salute, conseguenza dell’invecchiamento della popolazione italiana.
Stiamo assistendo in questi anni ad una totale inversione di tendenza del fenomeno, anche perché sono già in pensione o stanno per andare in pensione i laureati tra gli anni 50, 60 e 70 (la cosiddetta “doctor boom generation”).
Secondo il Consiglio nazionale Fimmg, “Ogni anno vengono formati 1.560 medici generalisti (15.600 fra 10 anni). Dal 2007 al 2017 ne andranno in pensione 25.500. Il saldo sarà di 9.900 medici in meno. Significa che circa 11 milioni di pazienti rimarranno senza medico di famiglia”.
Se, in conclusione, tra 10 anni ci troveremo di fronte ad una carenza di medici in età lavorativa e se, come risaputo, la formazione di un medico abbisogna di almeno 10 anni di studio, con quali criteri viene valutata l’offerta potenziale degli atenei?
Il tema del crescente fabbisogno di medici è stato ripreso durante un incontro di fine maggio 2011 tra gli Assessori regionali alla Sanità e il Ministro della Salute Fazio, in cui lo stesso Ministro ha confermato l’esistenza del problema ed ha annunciato un provvedimento per accorciare i tempi della specializzazione e aumentare le borse di studio disponibili.
In realtà questa soluzione, di per sé utile, non considera come i fabbisogni cambino a seconda delle specializzazioni e soprattutto non affronta il tema dell’accesso alle facoltà di medicina.
Un tema, invece, sollevato dalle Regioni: secondo una media regionale, nel 2009/2010, a fronte di 8100 posti da specializzando, si sono laureati 6709 studenti. Nello stesso anno i posti da matricola sono aumentati del 29%, ma ciò nonostante, considerando anche che il 10% degli immatricolati non termina il percorso di studi, il numero di laureati arriverà appena a coprire il fabbisogno medio regionale. Tra il 2011 e il 2031, secondo in calcoli delle Regioni, confermati dai dati del Miur, mancheranno circa 34.000 medici all’appello (da Il Sole-24 Ore Sanità n. 22/2011)
Anche volendo ignorare l’idea per cui un libero accesso alla facoltà non garantisce mai di per sé l’automatico conseguimento del titolo, e che a sua volta il conseguimento di qualsiasi laurea non può né deve garantire l’automatico ingresso nel mondo del lavoro, almeno non si possono ignorare i dati, in base ai quali l’offerta formativa degli atenei dovrebbe crescere e non diminuire!