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17 Gen

L'ingresso in Magistratura come unico dato comune nella carriera di PM e giudici

Una riforma attuale per un problema esistente da tempo.

Il miglioramento dell’efficienza della giustizia italiana, della professionalità dei magistrati nonché la concreta attuazione del fine descritto dall’art.111 Cost. ossia il giusto processo, sembrano aver costituito i principali obiettivi che le riforme degli ultimi anni – quale ad esempio la legge n. 150 del 2005 e la n. 111 del 2007, afferenti modifiche all’ordinamento giudiziario- hanno preso di mira.

Non è emersa di recente, insomma, la questione concernente la separazione delle carriere dei magistrati che, a detta di una parte della dottrina, si qualifica come distinzione tra funzioni (giudicante e requirente) e troverebbe il suo fondamento nell’art.107, comma 3.

Gli esponenti della dottrina favorevoli a tale ultimo orientamento, quale Domenico Gallo, pongono alla base delle loro affermazioni, ossia delle loro perplessità su di una modifica dell’impianto della magistratura tale da condurre ad una separazione delle carriere, la peculiare posizione del PM e la difficoltà cui questi incorrerebbe nell’assumere la forma mentis propria di un giudice terzo.

Secondo altri, invece, lo status di magistrato e la funzione di pubblica accusa imporrebbero una divisione delle carriere quale soluzione ottimale per la speditezza dei processi e per il rispetto della parità delle parti. Una previsione in tal senso, ossia la creazione di due percorsi a sé stanti per le due cariche con due C.S.M. è contenuta nell’attuale riforma della giustizia.

Sezioni distinte per le rispettive Corti di disciplina e nessuna possibilità di passaggio interno sono alcuni tra i caratteri in cui si sostanzia il suddetto innovativo cambiamento “epocale” che, come unico binario comune, prospetta unicamente la fase dell’ingresso in magistratura che sarebbe regolato da un concorso unico.

Il rischio di conseguenze nocive non è, però, escluso. Esso, al contrario, è insito in tale visione ed, in particolare, il pericolo è l’inquadramento del PM come dipendente della PA, quindi subordinato all’Esecutivo, ed in definitiva al governo; ciò potrebbe determinare una progressiva perdita dell’indipendenza della magistratura quando si dovrebbe sempre agire in modo da salvaguardarla.

Ultima modifica il Mercoledì, 22 Febbraio 2012 11:58